Il Morbo Letterale




Anticamente inteso come simbolismo morale, teso ad identificare la corruzione dei costumi, il tema della malattia si è manifestato in letteratura sotto molteplici aspetti. In tutte le mitologie dei popoli antichi la Malattia era interpretata come un segno divino, una punizione inflitta, all'uomo o alla collettività, dagli dei come castigo per le colpe commesse. Rientravano in questa categoria non solo le malattie individuali, ma anche le pestilenze, le carestie, e le deformità fisiche. Da qui le antiche leggende sui gobbi e gli esseri deformi.


A volte in quest'ottica di punizione divina venivano compresi anche fenomeni naturali, come cataclismi, inondazioni o terremoti, che colpivano l'intera popolazione; un esempio lo troviamo nell'Antico Testamento con la distruzione delle città di Sodoma e Gomorra, colpevoli di aver offeso gli dei con la condotta immorale dei loro abitanti, oppure con l'esodo degli Ebrei. 


MITI E CREDENZE

La causa scatenante di queste tradizioni negative si può identificare nelle particolari malattie ricorrenti nel passato, che erano morbi devastanti come la peste, il vaiolo o la sifilide, e che lasciavano evidenti segni del loro passaggio sul corpo di coloro che venivano colpiti, spesso sfigurandoli, avvalorando così la tesi di una punizione divina.



Dalla mitologia in poi, la letteratura segue le caratterizzazioni del relativo periodo storico, a secondo del tipo di malattia predominante.

Per quanto riguarda la tubercolosi molte sono state le interpretazioni che diversi autori di tutto il mondo hanno dato a questo morbo, a cominciare da Margherita Gautier di Alexandre Dumas Figlio, meglio nota come la Signora delle Camelie. 

Non meno famoso è il caso di Alessando Manzoni che, con i Promessi Sposi, dedica ben tre capitoli alla descrizione della pestilenza che colpì Milano nel 1600. 



In seguito fu Thomas Mann, con il romanzo La Montagna Incantata, a sviluppare il tema del morbo, qui inteso come elemento discriminante tra la produttività, il lavoro e la guerra, prendendo lo spunto per una riflessione filosofica sulla condizione umana, interrogandosi su i rapporti tra la malattia e la vita, e tra l'individuo malato e quelli sani. 





Anche Kafka, gravemente malato di tubercolosi, era ossessionato dal tema della malattia come espressione esterna del suo malessere interiore.

Con Italo Svevo infine il morbo è inteso soprattutto come degrado, inadeguatezza e fallimento. 


Anche in Marcel Proust emerge questo tema inteso come isolamento forzato dal resto della comunità, la malattia è un fattore discriminante, altera la produttività, limita il contesto sociale, isola il protagonista.

Per Jean-Paul Sartre la malattia è intesa, in senso modernissimo, come il disgusto del vivere, molto più che un malessere, è un morbo potente, capace di distruggere le componenti e le basi della società. 


Anche gli Scapigliati, che spesso e volentieri a partire dalla metà dell’Ottocento si compiacquero di un’estetica del brutto e del macabro, usarono spesso la tisi come motivo ricorrente della loro ispirazione.


I poeti crepuscolari, proprio per la loro particolarissima sensibilità poetica (percezione dello svanire delle cose, sentimento malinconico dell’amore, il pensiero e il desiderio della morte non intesa eroicamente ma ironicamente) si ispirarono spesso al ‘mal sottile’ anche per motivi autobiografici.



Tutta l’esistenza di Gozzano e tutta la sua poesia sono profondamente segnate dall.esperienza del ‘mal di petto’, che diventa la ’cifra’ stessa della vita del poeta:
Io penso talvolta che vita, che vita sarebbe la mia,
se già la Signora vestita di nulla non fosse per via.
(L’ipotesi)
Guido Gozzano, “ricusando sempre il clamore della disperazione, il dramma luttuoso dello sconforto, s’incamminò invece verso la morte con le mani in tasca, sorridendo di quel vago sorriso leggero, con la stessa naturalezza con cui andò incontro al suo successo eccezionale” (Comolli ), morì il 9 agosto 1916. Dopo quasi dieci anni d’attesa e di rimandi era arrivata “la cosa/vera chiamata Morte.”








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